legge valter zanardi
25. VIENI CON ME A SEDERTI
Vieni con me a sederti, Lidia, in riva al fiume.
Serenamente fissiamone il corso e impariamo
che la vita passa, e non stiamo a mani intrecciate.
(Intrecciamo le mani).
Poi pensiamo, bambini adulti, che la vita
passa e non rimane, nulla lascia e mai ritorna,
va verso un mare molto lontano, vicino al Fato,
più degli dèi lontano.
Sciogliamo le mani, perché non vale la pena
[stancarci.
Che proviamo o meno diletto, passiamo come il fiume.
Meglio saper passare silenziosamente
e senza grandi turbamenti.
Senz’amori, né odio, o passioni che ingrossano la voce,
né invidie che troppo movimento danno agli occhi,
né angosce, ché sempre scorrerebbe il fiume se ne avesse,
e nel mare sfocerebbe.
Amiamoci tranquillamente, pensando che potremmo,
se lo vogliamo, scambiarci baci e abbracci e carezze,
ma che è meglio stare seduti l’uno accanto all’altra
guardando il fiume e sentirlo scorrere.
Cogliamo fiori, prendili tu e lasciali
in grembo, e che il profumo loro allieti il momento –
questo momento in cui serenamente non crediamo a
[niente,
pagani innocenti della decadenza.
Almeno, se ombra sarò per primo, ti ricorderai poi di
me
senza che il mio ricordo ti bruci, ti ferisca o ti commuova,
perché mai ci prendemmo per mano, né ci baciammo
né altro fummo che bambini.
E se prima di me porterai l’obolo all’atro nocchiero,
io non soffrirò affatto nel ricordo di te.
Sarai dolce al mio ricordo nel pensarti così –
[in riva al fiume
pagana triste e con i fiori in grembo.
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