legge valter zanardi
un uomo sogna di possedere un’isola, di divenire il signore di un piccolo mondo separato che sia creazione e specchio della sua personalità. Ma né gli uomini, né la natura si lasciano facilmente trasformare in specchio di qualcuno. Quello che doveva essere un idillio si trasforma in un braccio di ferro sempre più disperato, e l’avventura iniziata con l’acquisto di un’isola si conclude con il trionfo della natura, mentre il protagonista è costretto a restringere sempre di più i confini del proprio mondo, fino a racchiudervi solo sé stesso. In “L’uomo che era morto” Lawrence si misura con la vicenda paradigmatica della storia dell’Occidente: la morte di Cristo. E lo fa alla sua maniera, fedele all’idea che l’unica trascendenza possibile risieda nella quotidiana rinascita all’universo delle cose, e che il peccato più grande sia la rimozione del corpo come orizzonte profondo di significato spirituale. È infatti nel contatto con la natura e il sole della vita che l’uomo crocifisso inizia a riaversi dal sonno della morte e a osservare il mondo attorno a sé con sguardo nuovo e partecipe. Egli diviene consapevole che la vera risurrezione è l’essere rinato alla vita del corpo, abiura la vita passata e la sua astratta predicazione, che ora gli appare come l’espressione di una sconfinata e innaturale volontà di potenza. Il protagonista della sua storia non è neppure per un attimo il figlio di Dio, ma soltanto un uomo, protagonista di una storia esemplare.
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