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LA MORTE DI IVAN IL’IC di L Tolstoj

“La storia della vita di Ivan’Ilic era la più semplice, la più comune, la più terribile.”
Così Tolstoj ci introduce nel mondo di un uomo qualunque. Ivan non ha nessun pregio o difetto in particolare, il suo carattere si può sintetizzare nel modo di fare di chi “… eseguiva coscienziosamente tutto quello che riteneva suo dovere. Ed egli identificava il suo dovere con ciò che era ritenuto tale dalle persone altolocate.”
Colto nel pieno della vita, Ivan dopo una semplice caduta incomincia un cammino di presa di coscienza della propria morte e il confronto con essa diventa scintilla che fa esplodere le contraddizioni di un sistema sociale basato sul “comunemente corretto, piacevole e decoroso”.
Ivan afferma un istante prima della fine “è finita la morte”. La morte si vive. Il confronto con un appuntamento così imprescindibile può essere occasione di vita. La morte non è la morte, morti sono tutti gli altri, morto era Ivan prima che questo virus della malattia lo andasse a visitare.

Lo spazio e il tempo raccontano la presa di coscienza di Ivan.
Una stanza con le fattezze di un salotto. Il mondo che Ivan ha sempre inseguito si sintetizza in quel palcoscenico delle loro vite.
Il tempo della degenerazione della malattia.
Il tempo perché quella stanza si riveli per quello che realmente è.
Il tempo perché Ivan divenga telecamera del carosello umano che vagola sempre più atterrito di fronte la sua metamorfosi.
Ivan ci mostra il degrado fisico, psichico dell’uomo di fronte alla morte. Il “decoro” è analizzato, non nella sua descrizione, ma nella sua decostruzione. Quello a cui si assiste è un crollo delle strutture e una fuoriuscita di uno “scandaloso” che permetta lo sfondare di porte sigillate da sempre.
Tutto viene spazzato via dall’urlo finale del malato. Dopo rimane soltanto il silenzio. Il silenzio dell’ascolto.
legge valter zanardi
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